Torna a grande richiesta “Found in Translation”, la rubrica che raccoglie libri consigliati da lettori d’eccezione, ovvero chi quei libri li ha tradotti.
Questa volta tre nostri colleghi ci accompagnano in un viaggio che spazia dall’America della Beat Generation alle montagne del Caucaso, passando per i drammatici (e fantascientifici, come leggerete) scenari dell’Europa del Novecento.
Qui a doppioverso i consigli di lettura sono sempre i benvenuti: amici traduttori, se anche voi avete un libro appena pubblicato (o di prossima uscita) da segnalarci, scriveteci a [email protected] oppure [email protected].

Grazie a un racconto venduto a Playboy, Dick Dubonet diventa l’unico autore pubblicato della zona e si accompagna alla bellissima Linda McNeill, nota per le sue frequentazioni disinibite della cerchia Beat. A Dick guardano con ammirazione – e una certa invidia – i tanti aspiranti scrittori che affollano bar e party, ma a cambiargli davvero la vita, per ora, sono soprattutto la nascita di una figlia e una famiglia da mantenere. È proprio sua moglie, Jamie, a conoscere prima di lui e di chiunque altro un’inattesa fortuna editoriale, grazie al romanzo che ha partorito in segreto nella solitudine deprimente di provincia.

Don Carpenter, I venerdì da Enrico’s
Frassinelli 2015

Traduzione dall’inglese di Stefano Bortolussi
È nato e vive a Milano. Poeta, romanziere e traduttore, ha pubblicato tre romanzi e tre raccolte di poesie. Traduce dall’inglese. Fra gli autori che immodestamente chiama suoi: James Ellroy, Joshua Ferris, John Irving, Cathleen Schine, John Connolly, Kem Nunn, Lawrence Norfolk, Jurie Orringer, Dennis Lehane, Don Carpenter. Il suo blog si chiama l’autore a pezzi, e non è un caso.

Quando l’editore Frassinelli mi ha proposto di tradurre Don Carpenter, la mia reazione è stata così entusiastica che temo di aver spaventato i miei referenti abituali in casa editrice, probabilmente abituati a risposte più equilibrate (leggi: professionali).

Mi spiego: Don Carpenter è un autore californiano, nato a Berkeley nel 1931 e morto suicida nel 1995, che bazzicava l’ambiente della Beat Generation pur senza aderire del tutto ai suoi codici espressivi (e forse è meglio così). Dopo decenni di oblio, ora Carpenter è al centro di una campagna di “riscoperta intelligente”, come già successo ad autori come John Williams, Richard Yates e James Salter. I venerdì da Enrico’s è il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto e inedito fino al 2014 e ora pubblicato a cura di Jonathan Lethem.

Ora, chi mi conosce sa che nella mia opinabile biografia ho finito per stringere un rapporto molto stretto con la California, fino a farla diventare una terra mitologica e di sogno che corrisponde forse poco alla realtà ma che mi fa un gran bene dal punto di vista della sopravvivenza esistenziale. La California, insomma, e soprattutto una certa California, è un po’ il mio Eldorado, e sono sicuro che l’ironia non sfuggirà agli esperti di storia coloniale. Basti dire che il mio primo romanzo, Fuor d’acqua, uscì prima lì che qui, pubblicato con il titolo Head Above Water proprio da quella City Lights di Lawrence Ferlinghetti che compare più volte nelle pagine di Carpenter, e che il mio più recente libro di poesie si intitola Califia.

Questo per giustificare la mia adolescenziale reazione alla proposta di Frassinelli. Tutto il resto, come si dice, è letteratura, e ottima letteratura: il romanzo di Carpenter, che parla di scrittori ma non lo fa mai in modo furbesco e/o compiaciuto, è pieno di personaggi a cui ci si affeziona all’istante, la sua scrittura è limpida ma molto espressiva, le sue trame (nel senso proprio di tessiture narrative) sono appassionanti nel senso più nobile del termine, che è quello umano e psicologico. Insomma, caro vecchio Don, tradurti è stato un piacere, e sono sicuro che lo sarà anche leggerti.

Stefano Bortolussi

Traduttore EN>IT

Il Dagestan è un crogiolo di lingue ed etnie che spesso stentano a convivere. Tanto più con un “vicino di casa” ingombrante com’è la Russia. E gli spigoli - già vivi - non possono che affilarsi ulteriormente alla notizia che un muro, un vallo, un confine armato separerà i due paesi. Shamil si trova, dunque, a fare i conti con il passato e il presente, con una “tradizione” religiosa addomesticata alle necessità della politica e con vari personaggi e lingue della fauna locale, in un vortice di episodi e figure, di salti nel tempo e fra gli stili letterari.

Alisa Ganieva, La montagna in festa
La Nuova Frontiera 2015

 

Traduzione dal russo di Claudia Zonghetti
Archeologa mancata, traduce dal russo classici e contemporanei. Oltre a Vasilij Grossman e Anna Politkovskaja, ha dato voce italiana a Pavel Florenskij, Varlam Šalamov, Nikolaj Gogol’ e Gajto Gazdanov. Ha esordito traducendo Dostoevskij e Bulgakov e non può che sognare di rimaneggiarli.

In Caucaso ero già “stata” in compagnia di Anna Politkovskaja e del Dagestan conoscevo - come molti - le storie legate al terrorismo antirusso. Se ho capito qualcosa in più del “paese delle montagne” lo devo sicuramente ad Alisa Ganieva (ed è proprio per l’etimologia di Dagestan, tra l’altro, che la Montagna è rimasta prepotentemente nel titolo, come nell’originale, mentre altrove si è preferito dare risalto al muro - in Germania, per esempio, dove il romanzo è uscito per Suhrkamp con il titolo Die russische Mauer - Il muro russo).

Non è un romanzo facile, La montagna in festa, e non è un romanzo rettilineo. I percorsi della trama si intersecano con estrema disinvoltura fino a imbizzarrirsi, talvolta, con riuscitissimi doppi avvitamenti di citazioni stilistiche dei decenni passati, resi ancora più impervi da continui innesti di slang, dialetti e varie lingue locali - oltre all’arabo che sempre incarna l’Islam. Ma proprio per questo è un romanzo di forte, fortissimo impatto sonoro e visivo, proprio per questo la storia di Shamil e dei suoi amici e nemici arricchirà il nostro immaginario e il nostro quotidiano di pagine utilissime (non arrivo a dire indispensabili, ma utilissime senz’altro) per comprendere una regione ancora troppo poco nota.

Tradurlo non è stata una passeggiata, anzi. Sorvolando sui momenti ameni (di cui, chi vuole, può avere un assaggio qui), non è stato facile forgiare un italiano colorato e godibile che rispettasse la varietà linguistica e stilistica dell’originale e convincesse il lettore a restare accanto a Shamil e al pittoresco, farsesco e spesso tragico panoptikum di umani che incontra. Ci sono gli estremisti islamici, in questo romanzo, e ci sono i nostalgici della vecchia, cara Unione Sovietica, ci sono i giovani indecisi fra l’Occidente e le sue malìe e una tradizione che l’integralismo stravolge e deforma. Ci sono montagne millenarie ed edifici recentissimi. E c’è il pulsare vorticoso, sincopato, complessissimo, di tutti questi elementi.

Claudia Zonghetti

Traduttrice RU>IT

Harry August non è un uomo qualsiasi. Nasce alla fine della prima guerra mondiale e muore nell’anno della caduta del muro di Berlino, ma non è finita. Harry rinasce esattamente nelle stesse circostanze della prima volta, con in più la consapevolezza e la memoria delle esperienze passate.

Claire North, Le prime quindici vite di Harry August
NN edizioni 2015

 

Traduzione dall’inglese di Valentina Daniele
Nata alla fine degli anni Sessanta, giorno più giorno meno, traduce letteratura per ragazzi e commerciale dal 1999. Tra i suoi autori: Terry Pratchett, Lemony Snicket, Diana Wynne Jones, Eva Ibbotson, Lauren Weisberger, Colin Meloy.

Tradurre letteratura di genere è allo stesso tempo uno spasso e una condanna. Dove stia lo spasso è chiaro: a quasi cinquant’anni è ancora possibile immergersi per mesi in quelle stesse cose che ti entusiasmavano quando ne avevi quindici, e questo per chi come me rifiuta tenacemente di mettere giudizio è sicuramente un  vantaggio. Sulla condanna tornerò dopo.

Quando mi è stato proposto un romanzo di fantascienza ho accettato subito; non mi era mai capitato di tradurre uno dei miei generi preferiti. Ho avuto fortuna, perché questo è un bellissimo romanzo.

Harry August nasce in Inghilterra all’alba del Novecento e muore nell’anno che ne segna per certi versi la fine: sarebbe una metafora fin troppo scoperta se la vicenda di Harry non la portasse ancora un po’ più in là. La sua infatti condanna è quella di rinascere, sempre nello stesso momento e nello stesso luogo, con la memoria intatta.

Non è solo al mondo: ce ne sono tanti altri come lui, una sorta di setta segreta il cui unico scopo è l’inazione, per non interferire con la storia del mondo. Eppure qualcuno sta cercando di forzare la mano al futuro e per farlo non esita a liberarsi di quelli come Harry.

A questo punto, se stessimo parlando di un film d’azione, sarebbe quasi obbligatorio dire che quella di Harry per salvare il mondo sarà una “corsa contro il tempo”: ma vista la particolarità della sua natura una corsa contro il tempo è impossibile e Harry dovrà preparare il suo piano con cura, da una vita all’altra.

Il romanzo è affascinante anche dal punto di vista linguistico. Per la maggior parte delle sue vite Harry si dedica allo studio della medicina e della fisica, sperando di trovare una spiegazione alla sua natura: quindi racconta la sua storia in prima persona con un linguaggio adulto, scarno, poco incline alle manifestazioni emotive ma allo stesso tempo estremamente preciso. Non cerca la nostra compassione e per se stesso non ne prova mai; ma non possiamo non essere solidali con i suoi dilemmi morali.

In conclusione, in una fase in cui la letteratura di genere ammicca sempre più a un pubblico adolescente, Le prime quindici vite di Harry August è una piacevolissima sorpresa. Soprattutto se si pensa che l’autrice Claire North (pseudonimo di Catherine Webb) ha esordito giovanissima, a quattordici anni, con una saga fantasy per ragazzi.

(Ah, sì: la condanna del traduttore di genere è quella di non essere mai preso sul serio quando prova a proporsi per qualcos’altro, ovviamente.)

Valentina Daniele

Traduttrice EN>IT, DE>IT

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