Qui a doppioverso non siamo mai state delle cicale. Avete presente la favola di Esopo, no? Per quanto invidiassimo l’anima spensierata e canterina della cicala, qui siamo sempre state formiche: prevedibili, scrupolose, solitarie. Insomma, due traduttrici perfette.
A volte io però ci penso, a cos’avrei potuto fare nella vita se fossi stata un po’ più estroversa, intraprendente, flessibile. E una delle risposte che mi sono data negli anni è questa: magari avrei fatto l’interprete. Perché l’interprete, almeno nel nostro immaginario, è la nemesi del traduttore: noi ce ne stiamo chiuse nel nostro studiolo, e intanto l’interprete fa il check-in per l’ennesimo viaggio di lavoro. Noi ci imbarazziamo a rivolgere la parola anche al postino, l’interprete farebbe chiacchierare anche i sassi. Noi ponderiamo, ragioniamo, limiamo, l’interprete improvvisa e fa del problem-solving un superpotere.
Ma, mi chiedevo spesso, le cose stanno davvero così?
Siccome non sono riuscita a darmi una risposta, io e Chiara abbiamo pensato di interpellare dei colleghi che nella vita fanno proprio quello e farci raccontare in cosa consiste davvero la loro professione.
Abbiamo ricevuto risposte incredibili, che ci hanno spalancato le porte su un mondo fatto di entusiasmo, creatività e determinazione. Abbiamo imparato che per fare l’interprete non servono superpoteri, ma buona volontà e studio costante. E abbiamo deciso che sì, forse, in un’altra vita, potremmo pensarci anche noi. Che poi magari ci capita di incontrare colleghi come questi, volete mettere?

Se leggendo le interviste dei nostri ospiti vi verrà voglia di conoscere meglio questa professione, sappiate che il 21 novembre si terrà a Torino il primo seminario introduttivo per interpreti di STL, che avrà come docente la (bravissima e fichissima) Claudia Chiaperotti e come organizzatrice didattica ed entusiasta presentatrice me. Quale occasione migliore per vedermi sfidare la mia natura da formica? Accorrete numerosi, ci vediamo lì.

I non addetti ai lavori pensano spesso all’interprete come a una figura un po’ stereotipata, e difficilmente vanno oltre l’immagine di Nicole Kidman chiusa nella sua cabina dell’ONU che ascolta i complotti sul Matobo. Approfondendo un po’, però, si entra in contatto con una terminologia tanto misteriosa quanto ricca (interpretazione di conferenza, di trattativa, simultanea, consecutiva, chuchotage,…). Puoi aiutarci a fare un po’ di chiarezza tra questi termini?

Le tipologie di interpretazione sono varie, variegate e combinabili tra loro. La differenza sostanziale risiede nell’immediatezza con cui il messaggio viene mediato tra le parti coinvolte, ma anche il contesto di lavoro ha la sua importanza. L’interpretazione di trattativa (liaison interpreting) avviene in scenari informali come meeting aziendali, trattative commerciali in fiera, stipulazioni di contratti, visite museali, ecc. L’interpretazione di conferenza, invece, avviene in situazioni più formali e che possono prevedere la presenza di un vasto audience o una platea. Qui si può già fare un’ulteriore distinzione parlando di interpretazione simultanea o consecutiva: il primo caso prevede che il messaggio sia riportato in tempo reale e avviene in cabina – proprio come faceva Sylvia Broom, il personaggio di Nicole Kidman – mentre nel secondo l’interprete segue lo speaker prendendo appunti (il note taking) relativi al discorso completo oppure a parti di esso per poi passare all’interpretazione. Il chuchotage avviene quando l’interprete è seduto vicino all’ascoltatore e traduce per lui a bassa voce parlandogli all’orecchio (avete presente Olga Fernando?).

Ci hai detto che la tua specializzazione è il liaison interpreting o interpretariato di trattativa. Nello specifico, in cosa consiste il tuo lavoro e come ci sei arrivata?

Riprendendo il discorso, la liaison interpreting prevede che l’interprete solitamente si trovi tra gli interlocutori e passi da una lingua all’altra per rendere fluido il flusso di informazioni che vengono scambiate. C’è la prima fase di preparazione in cui studi, studi, studi come una pazza perché vuoi sapere tutto dell’argomento trattato e ti crei glossari lunghissimi che poi ripeti, ripassi, cerchi di memorizzare. Poi c’è il lavoro vero e proprio che è proprio l’intromettersi in una conversazione tra due persone che cercano di sbrogliare una situazione comunicativa in cui non si capiscono. È un lucchetto chiuso. Tu sei il terzo (in)comodo: sei la chiave. La mia prima esperienza come interprete è avvenuta mentre lavoravo all’ufficio stampa dell’Associazione Arena Sferisterio di Macerata. Mi occupavo della gestione della stampa estera durante il Festival dell’Opera lirica che viene organizzato ogni anno nella mia città. I giornalisti venivano a recensire gli spettacoli in cartellone e poi partecipavano alle cene che seguivano le serate. Lo staff del mio ufficio si sedeva al tavolo con loro e li intratteneva. Sono stata davvero fortunata, perché l’ho fatto per quattro anni ed è stata forse l’esperienza lavorativa che mi ha forgiata di più. Quando poi sono passata alla libera professione mi è capitato spesso di essere presente durante la stipula di accordi aziendali. E qui secondo me la vera difficoltà risiede nel rimanere imparziali. A volte c’è un po’ di diffidenza se una delle due parti è un tuo cliente. L’altra parte può pensare che ci siano degli accordi in corso tra te e chi ti paga. Occorre mantenere un alto grado di dissociazione, altrimenti si sfocia in situazioni che ricordano un po’ il “Sai troppo, ora devo ucciderti” oppure “Ti faccio una proposta che non potrai rifiutare”. Tu sei solo l’interprete, non ci sono conti per nessuno, solo professionalità.

Chiara Bartolozzi ha un BA in Lingue per il commercio estero (Mediazione Linguistica). Sagittario misto Scorpione. Talmente ansiosa che i Maya non l’hanno presa nel giorno del suo compleanno. Al mattino non esiste se prima non beve caffè e il sarcasmo è il suo pane quotidiano. Madrelingua italiana, traduce da inglese e spagnolo, ma sta rispolverando il cinese. Grafomane, logorroica e geek. Ha una passione sfrenata per tutto ciò che suona, parla e sembra inglese. Sul web la trovate con il nome di One Sec Translations (e anche su un blog e su tutti i social che vi possano venire in mente…).

Mentre il traduttore è abituato a lavorare “sulla carta” e quindi ha tutto il tempo di limare, correggere e rifinire la sua traduzione, la performance dell’interprete si consuma nel qui e ora. Come si gestisce l’ansia da “buona la prima”? Esistono delle tecniche particolari ?

L’ansia è la compagnia di vita dell’interprete, un “mai più senza” che ti porti in borsa insieme al blocco, all’acqua e ai glossari, ma è funzionale se è il tipo d’ansia che serve a concentrarsi e a tenere alta l’adrenalina.

La principale fonte di angoscia per l’interprete è spesso l’interprete stesso: la paura di non essere all’altezza, la timidezza di avere qualcuno che ascolta proprio te… ma con una giusta preparazione e un bel respiro prima di accendere il microfono, tutto passa.

Proprio in virtù delle differenze tra le due professioni – traduttore e interprete – ci viene difficile immaginare come si svolga la giornata o la settimana tipo di un interprete. Puoi aiutarci?

In realtà non esiste una vera e propria giornata tipo, molto dipende dall’evento e dall’ambiente in cui si lavora; la cosa importante è però giocare d’anticipo. Il vero trucco di una buona interpretazione è un’ottima preparazione, e quella si fa nei giorni precedenti all’evento: si studia l’argomento, gli oratori, ci si esercita e si preparano i glossari. Più si sa, più si riducono gli imprevisti, e per questo il web è una fonte preziosa di informazioni.

Altro elemento chiave è arrivare almeno mezz’ora prima sulla scena del crimine, per provare l’attrezzatura (se si usa), per presentarsi a eventuali colleghi o per chiarire con la persona che andremo a interpretare come gestire i turni, sapere se ci sono cose importantissime di cui dobbiamo essere a conoscenza, ecc. Tutte le giornata di interpretazione finiscono poi allo stesso modo, ovvero a quattro di spade sul divano: la stanchezza ha spesso il sopravvento, ma la soddisfazione (quantomeno di essere ancora vivi) è tanta!

Giulia Carletti, interprete di conferenza e traduttrice EN/ES>IT, specializzata in marketing, turismo, enogastronomia e settore sociosanitario (una miscela un po’ random ma le curiosità sono tante!). Copywriter per blog e siti di viaggi e lifestyle. Vive tra Roma e Milano ed è tutt’uno con la sua tazza di tè. Per il popolo del Web è Words of Nona. La trovate anche su Facebook (www.facebook.com/wordsofnona) e su Twitter (@wordsofnona).

Nella tua carriera, hai fatto da interprete a professionisti diversissimi tra loro: dall’ultimo premio Nobel per la Letteratura Svetlana Aleksievič e altri scrittori famosi a lottatori di wrestling. In che modo un traduttore e formatore specializzato in ambito medico è approdato all’interpretariato e a un’esperienza così eclettica?

Potrei dire che sono approdato alla traduzione medica “per caso” come “per caso” ho tradotto molte di quelle persone. A meno che uno si specializzi e faccia convegni SOLO di un argomento, un interprete deve essere sempre pronto a improvvisare. Mi sono specializzato in traduzione medica perché appena uscito dall’università ho saputo che la maggiore azienda farmaceutica veterinaria italiana, che ha sede nella mia provincia, cercava un traduttore. Sono andato da loro, ho bussato e ho detto: “Salve, sono un traduttore”. Da sfigato. Sono piaciuto, sono rimasto lì due anni (e ancora collaboro con loro) e per osmosi, piano piano, ho acquisito terminologia e concetti. Poi ho avvertito la necessità di sistemare in maniera organica quello che sapevo: ho fatto un corso di traduzione medica, e da un certo numero di anni insegno traduzione medica a un master, il che peraltro mi costringe a tenermi informato, la medicina cambia in fretta.

La letteratura è invece una mia grande passione. Non lavoro spesso con scrittori, ma almeno quel festival o due all’anno cerco di tenerli sempre, anche per una questione di appagamento personale. Aiuta anche la logistica: abitando a Bologna, centro culturale notevole e dal quale si raggiungono facilmente quasi tutte le principali città del Centro-Nord, riesco a occuparmi di un certo numero di convegni, quindi talvolta mi capitano argomenti insoliti.

Per un traduttore sono indispensabili un’attenta preparazione e lo studio scrupoloso dell’argomento che andrà a tradurre. Per un interprete vale lo stesso, forse ancora di più visto che la sua è una performance “live”. Cosa ne pensi? E se sei d’accordo, come ti prepari?

La preparazione è tanto fondamentale quanto, talvolta, trascurata dal cliente. I clienti scrupolosi ti contattano per tempo, ti forniscono programma, contatti, magari anche le presentazioni in Power Point dei relatori, e questo aiuta molto. Ovviamente leggo tutto il materiale e, se non sono esperto in materia, cerco di leggere qualcosa al riguardo, cominciando magari dalle fonti più facilmente accessibili come Wikipedia e poi spaziando.

Talvolta il cliente ti chiama all’ultimo o non ti fornisce alcuna indicazione. Mi è capitato di sapere che sarebbe venuto un architetto, ma non avevo idea di che cosa volesse raccontare al pubblico fino al giorno dell’evento. Oppure una volta mi hanno chiamato in un’azienda a interpretare un ospite russo dandomi 2 ore di preavviso. In questi casi cerchi di improvvisare, l’improvvisazione è la dote principe di un interprete. E poi preghi che il cliente capisca se magari commetti qualche sbavatura.

Nicola Nobili nasce all’ombra delle Due Torri, è laureato in interpretazione presso la Scuola Interpreti di Forlí in inglese e russo. Specializzato in traduzione medica, che insegna anche ad un master, ama improvvisare ed ha a che fare sovente con argomenti, relatori e deliri assortiti. Appassionato di arte, letteratura, storia (specie i castelli e tutto ciò che è medievaleggiante), per natura fatica a stare fermo o anche solo a dormire troppo (c’è troppo da fare per oziare). Dedica parte del suo tempo ad attività di volontariato quali eventi animalisti (è vegetariano convinto da tantissimi anni) e organizzazione di spettacoli di beneficenza.

Noi di doppioverso ti consideriamo un po’ il nostro guru per tutto ciò che riguarda personal branding, presenza sui social e cura dell’immagine online. Quando hai capito che questi aspetti erano fondamentali per la tua professione? E in che modo investire in questi ambiti ti ha permesso di avere una vita professionale più soddisfacente?

Mi sento lusingata del titolo, che mi prendo con onore! Scherzi a parte, in realtà come spesso dico, il branding per me è qualcosa che era insito nella mia persona, sotto forma di passione per l’arte, per il bello, per l’estetica in generale. Il fatto che il marketing sia così vincolato ai social network ha agito da collante: i marchi sono intorno a noi e permeano la nostra realtà, facendo leva sul nostro intimo immaginario e sulle nostre aspirazioni e aspettative ed è proprio quella la componente affascinante di questo mondo. Brand voice, identity, style bible… potrei parlarne per ore! Di fatto, non bastano mai. Quando pensiamo al branding normalmente si pensa al logo – al marchio classicamente detto. In realtà è un mondo di sfacettature quello che plasma il personal branding – e quando mi sono data alla libera professione, ho capito che dovevo farmi trovare. Vivevo in un paese, Exeter, nel cuore dell’Inghilterra, dove non conoscevo nessuno o quasi e avevo bisogno di amici ma anche e soprattutto clienti. Insomma, avere un bigliettino da visita con un marchio riconoscibile è stato il primo passo. E da lì…

La soddisfazione? Sentire che un cliente ha scelto te per il tuo sito, o per il tuo marchio o perché ti segue su Twitter (e poi che rimane contento del tuo lavoro). E nel mondo dei colleghi, andare a un convegno e rendersi conto che quello che fai ha davvero un seguito e può davvero lasciare il segno è impagabile.

L’interprete svolge una professione impegnativa e di grande responsabilità, ma che in un certo senso ha anche un lato più glamour: a differenza del traduttore, infatti, l’interprete ha frequenti contatti con l’esterno e, almeno nel tuo caso, viaggia spesso. Una domanda un po’ oziosa: cosa non manca mai nel bagaglio di un interprete e cosa si prova a vivere sempre con la valigia pronta?

Tough love, dico spesso. Per fare l’interprete c’è bisogno di passione. Ma anche del cosiddetto “physique du role”: come mi ha detto una volta un cliente, nel mio lavoro non solo conta il cervello ma anche il fisico… e non nel senso stretto del termine! Conta essere in salute, conta aver dormito bene, conta aver mangiato… è un’attività fisica, che richiede massima allerta dei sensi, che ci vede impegnati tante ore in spazi confinati. Però, vuoi mettere la soddisfazione?

Indubbiamente, mentirei se ti dicessi che la parte estetica, anche in questo senso, non conta per me. Però devo smentire la percezione comune: viaggiare è glamour, spostarsi per lavoro non tanto! Aerei, treni, taxi,… mi manca solo l’elicottero. Quando si ha una consegna dopo l’altra, si arranca ma si riesce, dalla comodità del proprio studio o ufficio. Quando si deve interpretare, i fattori fisico-psicologici di cui sopra entrano in gioco a complicare il tutto. E basta un mal di testa a renderti la performance ben al di sotto della standing ovation.

Ho capito nel tempo che questa componente conta molto – e spesso anche di più della preparazione: riposo, organizzazione e freschezza mentale sopra a tutto.

E nella mia valigia? Una checklist di cose da portare via, sempre pronta da consultare, pianificazione di cose indispensabili, look da combinare e un kit di sopravvivenza medica… sul mio blog The Stylish Freelancer ne parlo un po’ (in inglese, così fate pratica) sotto forma di articolo e di video.

Valeria Aliperta ha un BA in translation studies, un MA in interpretariato di conferenza e gestisce la propria azienda, Rainy London Translations, a Londra. È interprete di conferenza, traduttrice, editor, copywriter e consulente linguistica. Un progetto di cui è madrina è The Freelance Box, una serie di corsi presenziali pratici sul business e il marketing per traduttori con la collega Marta Stelmaszak. Di recente, sotto il volto di @Thestylishfreelancer, ha intrapreso la nuova avventura di un blog che parla di free(busy)lance life. 

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